> testi e testimoni alla casa della memoria e della storia




“TESTI E TESTIMONI”: SEGNI DELLA SOCIETA’ CONTEMPORANEA.

di Eleonora Carbone per Melting Pot

Sabato 21 Febbraio presso la Casa della Memoria e della Storia, a Trastevere si è conclusa la seconda edizione della rassegna “Testi e Testimoni – incontri per riscoprire libri e storie”. La rassegna che ha contato sulla presenza di Massimo Rendina, Gianni Bisiach, Goffredo Fofi, Fabrizio Gifuni, Valerio Binasco…  in quest’ultimo appuntamento ha ospitato César Meneghetti ed Elisabetta Pandimiglio con due documentari biografici “Zappaterra” e “Terrorista”.
La rassegna “Testi e testimoni” cerca di approfondire la società contemporanea attraverso incontri che sono l’espressione di testimonianze concrete dell’Italia passata e contemporanea. Letture di testi importanti, interpretati da  attori affermati ( “Ragazzi di vita” di Pasolini, “Un weekend postmoderno” di Tondelli, “La chiave a stella” di Levi, “Lessico famigliare” della Ginzburg …)si sono alternate ad incontri con testimoni di fatti  che hanno segnato la storia e la società ( il sessantotto, il femminismo, le deportazioni politiche  la resistenza...) E per concludere: filmati di autori del cinema contemporaneo come Daniele Gaglianone, Fluid Video Crew , Meneghetti & Pandimiglio.

Meneghetti, artista e film-maker brasiliano, ci fa conoscere uno spaccato della storia del Brasile attraverso “Terrorista” nel quale ci narra il percorso esistenziale del professore universitario Percy Sampaio Camargo, accusato ingiustamente di terrorismo nell’epoca della dittatura militare. Il marchio di “sovversivo” lo accompagna durante tutto  il suo esilio in Cile ed in Olanda fino al 1982 quando finalmente torna in Brasile dove si candida come sindaco per il PT (Insieme a Lula), e nel 1986, come deputato federale. L’anno dopo lascia la politica per andare a dirigere in Amazzonia,  un corso universitario di formazione per insegnanti indigeni. Nel 1990, una volta in pensione, lavora come dentista volontario per una ONG Olandese. Quaranta anni dopo, ormai uno qualsiasi tra 20 milioni di pensionati brasiliani, ripercorre la sua vicenda  personale intrecciata alla storia ufficiale del paese, nel tentativo  di riscattare un frammento di memoria perduta.
Con “Zappaterra” siamo in Italia, nell’entroterra Bolognese, dove la contadina  analfabeta Margherita Ianelli, dopo aver sconfitto la povertà e la guerra, riprende la sua battaglia personale contro la “miseria dell’ignoranza”, una lotta lasciata in sospeso tanti anni prima. A 50 torna a scuola, arrivando alle soglie del diploma e realizza il proprio desiderio di  raccontare attraverso le pagine  di un diario le emozioni di una vita ed i ricordi amari della strage nazifascista di Marzabotto. Nel 1996  Margherita vince il concorso bandito annualmente per diari, memoriali, epistolari raccolti nell’archivio diaristico di Pieve Santo Stefano guadagnandosi anche la pubblicazione della propria autobiografia “Gli Zappaterra” edito da Baldini & Castoldi.
“Zappaterra” è uno degli 11 documentari  della serie “I diari della Sacher” prodotta da Nanni Moretti e diretta da 11 autori che traducono cinematograficamente alcuni dei più interessanti diari.
Entrambi i documentari hanno un ritmo serrato ed alternano il racconto del protagonista con immagini della storia, vecchi frame del passato che ci riportano ad un tempo a noi lontano, per i più giovani persino sconosciuto. La coppia di autori  Meneghetti/Pandimiglio sono dei sapienti narratori che indagano sulla società contemporanea scovando storie che chiedono soltanto di essere raccontate in modo oggettivo e sincero. Alternano lavori in coppia a progetti individuali senza dimenticare la sintonia e la concretezza che lì distingue, due doti fondamentali quando si narra la realtà.

Abbiamo raggiunto i due autori proponendogli una breve intervista. 
Come nasce la vostra collaborazione?
In realtà nel cinema lavoriamo in due dal 1996. Il nostro primo cortometraggio di finzione ha vinto un’importante menzione speciale della critica cinematografica italiana, un “Nastro d’argento”. Abbiamo iniziato e non ci siamo fermati più. Credo che una doppia visione del mondo e due diversi background culturali (Italia e Brasile) ci aiutino a realizzare un lavoro sempre più completo. Un mix di tematiche sociale, una certa attenzione al risultato estetico e soprattutto  una ricerca nel linguaggio. Il prodotto è la sintesi di questi due universi che s’incontrano e si scontrano. Lavorare in questo confine geografico, culturale, individuale, collettivo, reale,  immaginario ci appassiona. Mettersi in gioco, scoprire la ricchezza dei mondi, la verità nelle piccole storie, la ricchezza nelle persone “normali” e nelle sfumature arricchisce.
Le storie e i personaggi che raccontiamo portano naturalmente il nostro lavoro verso un linguaggio che vi si adatti rispettandone le componenti profonde e nello stesso tempo ci renda liberi di costruire un universo narrativo, svincolato da qualsiasi  regola o preclusione formale.

Lei, Cesar, come artista e film-maker, riesce a gestire le due sfumature del suo mestiere tra documentari e video arte. Sono due estremi che non si toccano o riesce a metterli in comunicazione?
Ovviamente i documentari e film realizzati con Elisabetta sono altro rispetto al mio lavoro artistico individuale: per lavorare insieme dobbiamo metterci un po’ in disparte rispetto al progetto comune che diventa prioritario sull’affermazione dei singoli ego. La questione e il mistero della creazione risiedono nel fatto di fare meno un lavoro onesto e sincero con se stessi. Prima di essere un buon artista o cineasta, bisogna essere un buon essere umano. Credo che io ed Elisabetta, tutto sommato, lo siamo entrambi. In questo senso non c’è discontinuità tra il mio lavoro di artista e quello di documentarista.