RIFLESSIONI SUL CINEMA DOCUMENTARIO
CÉSAR MENEGHETTI & ELISABETTA PANDIMIGLIO
Perché e come, a un certo punto della vostra carriera artistica, avete scelto il documentario (e sul perché vale la pena - o no - di confermare la scelta)?
CÉSAR MENEGHETTI & ELISABETTA PANDIMIGLIO
Perché e come, a un certo punto della vostra carriera artistica, avete scelto il documentario (e sul perché vale la pena - o no - di confermare la scelta)?
In realtà non abbiamo scelto di fare
documentario, abbandonando altre forme di audiovisivo: le
storie e i personaggi che ci attraevano e ci premeva raccontare, con
naturalezza trascinavano il nostro lavoro verso un linguaggio che vi si
adattasse rispettandone le componenti profonde e nello stesso tempo ci rendesse
liberi di creare un universo narrativo svincolato da barriere formali di
qualsiasi tipo. Non ci siamo attenuti rigidamente neanche alle leggi del
purismo documentaristico. Sempre con naturalezza, fin dall’inizio, abbiamo
contaminato finzione e realtà attraverso uno sperimentalismo formale e
narrativo che non si poneva troppi confini e utilizzava anche nello stesso arco
drammaturgico: finzione, video arte, racconto biografico, intervista,
videoclip, reportage, denuncia sociale, installazione, indagine socio
economica, ricostruzione romanzata, pedinamento, cinema… A volte la
contaminazione è così strutturale che risulta difficile, anche per noi stessi,
catalogare i nostri lavori secondo una partizione di generi predefinita.
Continuiamo a pensare che valga sempre la pena raccontare, qualunque sia la forma scelta, purché prevalga l’anima
di quell’universo, mostrato man mano
che si svela nel suo divenire, piuttosto che dimostrato attraverso qualcosa
di sovrapposto che potrebbe perfino snaturarlo.
Riflessioni intorno a uno o
più vostri lavori che, a prescindere dal successo di pubblico, considerate
decisivi nel vostro percorso?
Sem terra / Senza terra (14’, docu-fiction, digibeta, Italia/Brasile, 2000/1) è uno dei nostri lavori più rappresentativi. Completamente autoprodotto,
racconta la storia di un uomo la cui vita è segnata da un fatto straordinario:
nascere in mezzo al mare. Partorito in una nave carica di emigranti, che
cercavano fortuna nella “Merica” con i suoi grandi spazi da coltivare, si
ritrova a crescere nel Brasile governato dall’aristocrazia rurale che ha appena
sostituito la mano d'opera schiava per quella più conveniente dei salariati
europei. Da due diversi angoli del mondo, le donne che lo hanno amato, una
all’insaputa dell’altra, ne ricostruiscono il passato con interviste incrociate
che rivelano il fiorire di un singolare menage
à trois. Le manifestazioni del movimento brasiliano “Sem terra”, in lotta
per la riforma agraria, si alternano agli indecifrabili ricordi del
protagonista, incapace di esprimersi per una confusione linguistica che è
simbolo della difficoltà di mantenere appartenenza e identità. Con questo
lavoro, misto di finzione e realtà, sperimentazione visiva e riflessione politica,
documentario e ricostruzione romanzata – una storia che si costruiva quasi da
sola su interviste autentiche – abbiamo disposto su un unico piano
spazio-temporale passato e presente, primo e terzo mondo. Il fatto di lavorare
in due, provenendo da diverse aree culturali e geografiche, ci permette un
doppio angolo di osservazione per una realtà che non si presenta mai univoca e
lineare.
Motoboy (64’ docu-fiction,
digibeta, Brasile/Italia, 2002/4) sui fattorini in moto di San Paolo. E’ questo
il lavoro più diffuso nella più trafficata metropoli dell’America Latina, con
un altissimo tasso di mortalità in strada. In questo film abbiamo creato una
sorta di doc osservatorio e seguito dei motoboy nella loro giornata
lavorativa. La finzione irrompe come frutto di un laboratorio durante il quale
alcuni dei pedinati mettevano in scena parti del proprio vissuto con l’aiuto di
colleghi che interpretavano i ruoli necessari alla ricostruzione della vicenda.
Mentre si metteva in scena una rapina ai danni di un fattorino, dei passanti,
credendo si trattasse di realtà, sono fuggiti, altri si sono rivolti alle forze
dell’ordine, tre motoboy di passaggio, ignari della simulazione, non hanno
esitato ad intervenire in difesa del collega…
Sogni di cuoio (72’, documentario, 35mm,
Italia, 2001/4) racconta l’avventura di 23 calciatori sudamericani arrivati in
Italia pochi mesi prima del drammatico crac argentino, sognando il successo nel
paese dei loro avi. Da molti definito “commedia docu-fiction” è un documentario
purissimo dove i fatti raccontati sono stati ripresi mentre accadevano, senza
si potesse minimamente prevedere l’esito che di lì a poco avrebbero avuto. E
questo vale anche per Comizi e quant’altro (78’, documentario, DVcam,
Italia, 2004/5) – girato durante le elezioni provinciali a Calimera (Lecce) –
nel quale abbiamo pedinato un avvocato salentino, che pur professandosi
simpatizzante di Rifondazione Comunista, si presentava come indipendente per la
lista Udeur. Le riprese sono durate dal periodo che precede le votazioni fino
allo spoglio all’interno delle urne.
A legare questi film – che rappresentano diversi modi di documentare- ci
sono comunque degli elementi ricorrenti nel nostro lavoro: il doppio registro,
il duplice punto di vista, la ricerca estetico/narrativa, alcuni temi come
identità e memoria, migrazioni, disagio ed esclusione sociale, Nord e Sud del
mondo, la realtà di gruppi e minoranze che non hanno voce all’interno dei
contesti sociali.
Riflessioni sulla vostra
personale poetica del documentario.
Vedere. Speriamo che l’arte legata al vedere, con
l’uso creativo delle nuove tecnologie, aiuti a vedere sempre meglio e più in
profondità le contraddizioni che segnano il nostro presente: in nessun altro
momento della storia umana tutto è stato così bombardato di chiarezza e allo
stesso tempo così confuso. Noi lavoriamo in due, con una doppia competenza
specifica e diverse capacità di sviluppo dell’idea, due diversi cannocchiali
culturali, Italia e Brasile, due diverse lingue e forme mentis che impregnano
il nostro vivere e conoscere il mondo. E il nostro lavoro è la sintesi di
questi universi che perennemente s’incontrano e scontrano.
Vivere. L’immagine in movimento non è altro che la
rappresentazione di un oggetto visto, di qualcosa che non è ancora e di una
cosa che già è stata. Nel presente l’immagine esiste per pochi frammenti di
secondo, ma quando qualcuno la guarderà e la sentirà propria, ne prolungherà la
durata e ne trasformerà aspetto e contenuto. Da quel momento in poi,
l’immagine, il mosaico d’immagini che compongono la storia, vivranno una vita
propria che si distaccherà sempre più da chi l’ha concepita. Lavorare sul
mistero di questo frammento di secondo ci appassiona. Scoprire la ricchezza dei
mondi, le verità nascoste nelle piccole storie delle persone “normali”
arricchisce.
Il cinema del reale che, con i propri strumenti
ibridi si alimenta di altre forme artistiche e, per la sua stessa natura si
nutre di qualsiasi contenuto, diventa la più efficace forza espressiva dei
nostri tempi. Le nuove tecnologie conducono sempre di più verso una
democratizzazione delle produzioni. Il rischio è quello di incorrere in un uso
omologato dei mezzi, di diventare prigionieri della macchina, dell’interfaccia
usata con l’arido elemento tecnologico che sovrasta tutto il resto. Per noi che
facciamo questo lavoro diventa quindi fondamentale mantenere un rapporto
costante con l’essenza delle cose.
Difficoltà rispetto alla
produzione e alla circolazione dei vostri lavori, ed eventuali soluzioni già
sperimentate o, a vostro giudizio, sperimentabili.
Alcuni dei nostri lavori sono stati autoprodotti. Altri sono stati
commissionati da enti pubblici, istituzioni, case di produzioni. Abbiamo
collaborato con la Comunità Europea, il Ministero della Cultura del Brasile, il
Comune di Roma, La Regione Lazio, Recyclart di Bruxelles, CGIL, Petrobras,
Sacher Film, Lucky Red, Marvel Movies, La Fabbrichetta, Pablo…
Crediamo fermamente che il talento non sia ereditario e che un lavoro
vada realizzato e promosso se l’idea è valida e l’ideatore dimostri di essere
in grado di realizzarla.
Per quanto riguarda il documentario, le difficoltà più grandi rispetto
alla produzione e alla circolazione delle opere sono ancora troppo legate al
non riuscire a considerare questo prodotto artistico un vero e proprio film. La
soluzione produttiva ideale (ma forse è fin troppo ovvio) è quella di un
appoggio pubblico o privato, svincolato da logiche commerciali e favoritismi
che stimoli gli autori a lavorare in libertà al servizio di un progetto socialmente
e culturalmente utile. Solo così si potrà arrivare alla creazione di un
documentario che abbia la forza di sentirsi cinema.